Panama: indigeni Ngäbe fermano il progetto idroelettrico
16 feb 2015
Da diversi anni gli indigeni Ngäbe-Buglé si oppongono al progetto nel distretto di Tolé, provincia di Chiriquí. Oggi, l’Autorità Ambientale di Panama ANAM ha sospeso temporaneamente il progetto idroelettrico di Barro Blanco. La comunità culturale Kiad conserva petròġlifi che riportano la storia ancestrale e la scrittura dei popoli originari di Panama, ed è una delle comunità in pericolo.
Il Movimiento 10 de Abril di Panama sta denunciando che ci sono vari aspetti dello Studio di Impatto Ambientale SIA del progetto idroelettrico Barro Blanco, che non vengono rispettati. Questo ha potuto constatare la vicepresidente del paese Isabel Saint Malo, in quanto parte di una Commissione di Alto Livello del Governo che ha visitato la zona. Precedentemente nel 2013, le Nazioni Unite realizzarono uno studio indipendente e giunsero alla conclusione che le comunità interessate non avevano le sufficienti informazioni e non erano state consultate. I diversi tentativi di mediazione e tavoli di negoziazione con differenti partecipanti non hanno dato, a oggi, alcun risultato.
Leggi panamensi e internazionali non vengono osservate
Le compagnie Generadora del Istmo, S.A. (Genisa) e Hidráulica San José, S.A. non avevano stabilito un piano per gestire i petròġlifi e altri reperti archeologici. Non hanno neppure realizzato le perizie richieste per verificare lo stato di erosione e la sedimentazione nel luogo in cui doveva costruirsi la diga che, per altro, inonderà luoghi di importanza fondamentale per gli indigeni Ngäbe-Buglé come una scuola, un luogo sacro e campi agricoli da cui dipende la sussistenza delle famiglie. L’ispezione portata a termine dal Governo ha constatato che la compagnia ha fatto più o meno quello che ha voluto, tagliando la vegetazione e rimosso materiali.
Arrivare a questo risultato non è stato facile, i rappresentanti indigeni, tra questi la Cacica della Comarca Ngäbe-Buglé, Silvia Carrera e il lider del Movimiento 10 de Abril, Ricardo Miranda non venivano ascoltati e i loro appelli continuamente sottovalutati, tanto che la compagnia è arrivata a negare l’esistenza di comunità nella zona dove sorge la diga. Una delle lider locali ha dichiarato al sito di informazione Otramerica: “Loro l’anno costruita e noi siamo disposti a smontarla pietra per pietra.”
Ciò che è chiaro è che le comunità indigene colpite non cercano indennizzi e nemmeno una ricollocazione, ma la interruzione definitiva del progetto. Confermano di essere aperti alla negoziazione. “Credo che ora si debbano fare nuovi studi di impatto ambientale, perché nell’anteriore governo mancava la volontà”.
Il caso non è isolato. Gli indigeni di Panama vedono, sempre più spesso, i loro territori ancestrali invasi da megaprogetti.
Finanziamenti europei per lo “sviluppo”
L’idroelettrica di Barro Blanco riceveva finanziamenti non solo dalla Banca Interamericana per lo Sviluppo, ma anche da banche europee come la tedesca DEG e l’olandese FMO. L’esperta tedesca su questo tema dell’organizzazione Urgewald, Kathrin Petz, ha dichiarato che “i problemi constatati dalla ANAM non sono una novità per la banca DEG. Da anni, le ONG hanno informato la DEG sulle conseguenze sociali ed ecologiche del progetto. Nonostante questo, la DEG non ha ritirato i fondi. La DEG si deve impegnare per impedire un nuovo avvio dei lavori”. Da parte sua Guadalupe Rodriguez di Salva la Selva/Salviamo la Foresta, che ha coordinato due campagne di denuncia internazionali per rendere nota la partecipazione delle banche europee nel progetto idroelettrico di Panama, ricorda che “la mancanza di risposte esaustive e documentate è stata sistematica e ed è stato altresì nullo l’interesse delle banche riguardo all’impatto reale dei progetti, in questo caso Barro Blanco a Panama, nonostante siano in violazione delle loro stesse politiche di responsabilità”.
Attualmente, la DEG e FMO hanno stabilito un meccanismo condiviso rispetto ai reclami, al quale si sono rivolte le comunità colpite, attendono una risposta per la prima metà del 2015.
Un po’ di storia
L’opera è iniziata nel 2011. Il suo costo totale è di 78 milioni di dollari, le banche avrebbero contribuito per 25 milioni. Le comunità hanno chiesto più volte che si fermasse il progetto senza ottenere risposta positiva.
La diga si trova fuori dalla provincia indigena, però modificherebbe il corso del fiume Tabasará. Sulle sponde del fiume vivono, lavorano e dipendono da quest’ultimo, molta della popolazione indigena Ngäbe-Buglé. Sette ettari di questa comunità verrebbero inondati. Allo stato attuale, l’opera si trova in uno stadio avanzato (95%).
Negli anni di realizzazione del progetto ci sono state numerose proteste che hanno lasciato feriti, anche gravi, fino ad arrivare a decessi, detenzioni, repressioni di diversa natura. Durante le manifestazioni sono stati denunciati anche casi di violenza sessuale contro le partecipanti.