Il Femminismo riattiva la resistenza contro l'estrattivismo in America Latina
7 mar 2014
Nelle ultime decadi, la massiccia presenza delle donne e del loro ruolo da protagosniste nella difesa del territorio ha guadagnato visibilità proporzionalmente a quanto si è acuito il processo di espropriazione. Le loro voci rivelano l'impatto che le attività estrattiviste producono nelle relazioni di genere e nella vita delle donne.
Da sud a nord le vene dell'America Latina continuano a sanguinare. Progetti estrattivisti, minerari, idrocarburiferi o agroindustriali si moltiplicano lungo tutto il continente latinoamericano ad opera di aziende transnazionali alle quali si sono aggiunte, negli ultimi anni, imprese statali. Se c'è una cosa nella quale convergono i governi neoliberisti e progressisiti della regione, è nel consolidamento di un modello di neo – sviluppo la cui base è l'estrattivismo. L'altra faccia di questo processo di estrazione e esportazione su grande scala è il fenomeno di sottrazione accellerata del territorio e dei diritti delle popolazioni locali colpite.
Nonostante le donne siano state presenti nei processi di resistenza socio – ambientale contro i progetti estrattivisti, le loro dinamiche di lotta non sempre sono state visibilizzate in modo adeguato. In ogni caso, nelle ultime decadi, la massiccia presenza delle donne e del loro ruolo da protagosniste nella difesa del territorio ha guadagnato visibilità proporzionalmente a quanto si è acuito il processo di espropriazione.
Le loro voci che provengono da una pluralità di approcci e posizioni, rivelano l'impatto che le attività estrattiviste producono nelle relazioni di genere e nella vita delle donne. Alcune si ritrovano nel femminismo popolare e comunitario, altre partono dall'ecofemminismo e molte non si riconoscono come femministe in forma esplicita. Però, tutte loro, partendo dalla loro diversità, condividono l'orizzonte verso una lotta post – estrattivista, che libera dal colonialismo, antipatriarcale, e si legittimano all'interno della resistenza. Il loro apporto principale: portare alla luce i vincoli di prossimità tra estrattivismo e patriarcato.
Tratta di donne e bambine
I blocchi petroliferi nell'Amazzonia ecuatoriana, l'estrazione mineraria a Cajamarca in Perú o la via della soia in Argentina condividono una realtà comune. In tutte queste zone, interessate da attività estrattiviste, il massiccio arrivo di lavoratori ha causato l'aumento del mercato sessuale. L'acol, la violenza, e la tratta di donne e bambine per lo sfruttamento sessuale sono il quotidiano per diversi centri abitati, come espressione di una forte violenza maschilista. Uno studio realizzato in seno al Encuentro Latinoamericano Donna e Miniera tenutosi a Bogotà nell'ottobre del 2011, ha segnalato che “ci sono situazioni critiche che colpiscono direttamente le donne, come il servilismo, la tratta di persone, la migrazione di donne per prestare servizi sessuali (…) e la stigmatizzazione delle donne che si prostituiscono”.
Per altro, il modello estrattivista comporta la militarizzazione dei territori, e le donne si trovano a dover fare i conti con la violenza in modo specifico, per la loro condizione di genere. Questo include, in molti casi, aggressioni fisiche e sessuali da parte delle forze di sicurezza pubbliche e private.
Secondo questa prospettiva, sia la terra che il corpo della donna sono considerati come trritori sacrificabili. A partire da questo parallelismo, i movimenti femministi contro i progetti estrattivisti hanno costruito un nuovo immaginario politico e di lotta che si concentra nel corpo delle donne come il primo territorio da difendere. Il recupero del territorio – corpo come primo passo indissociabile nella difesa territorio – e della terra. Una reinterpretazione nella quale il concetto di sovranità e autodeterminazione dei territori si amplia e si vincola ai corpi delle donne.
Sono le donne Xinkas in resistenza contro la miniera nella montagna di Xalapán (Guatemala) che, dal femminismo comunitario, costruiscono questo concetto. Sostengono che difendere un territorio – terra contro lo sfruttamento senza tenere conto dei corpi delle donne che vengono violentate è incoerente. “La violenza sessuale è inammissibile in questo territorio, quindi, perchè lo difendo?”, si chiedeva Lorena Cabnal, componente della Asociación de Mujeres Indígenas de Santa María de Xalapán – Jalapa.
“Noi donne siamo un'economia in resistenza”
La penetrazione dell'industria estrattivista nei territori espropria e disarticola le economie locali. Rompe con le modalità precedenti di riproduzione sociale della vita, che si orientano nuovamente in funzione della presenza centrale della compagnia. Questo processo istituisce nelle comunità un'economia produttiva altamente maschlizzata, accentuando la divisione sessista del lavoro. Le restanti economie non egemoniche – l'economia popolare, per esempio – che fino a questo momento hanno avuto un certo peso nelle relazioni comunitarie, assumono un ruolo marginale.
In un contesto dove i ruoli tradizionali di genero sono profondamente radicati e dove il sostentamento della vita si trova subordinato alle dinamiche di accumulazione dell'attività estrattivista, gli impatti socio – ambientali come l'inquinamento delle sorgenti d'acqua o l'aumento delle malattie, incrementano notevolmente il carico di lavoro domestico e di attenzione quotidiana, appannaggio delle donne.
“Ci sono moltissime esperienze produttive ed economiche ad opera delle donne che oggi riconosciamo e definiamo come economie in resistenza”. Secondo questo principio, adottato in forma collettiva nell'Encuentro Regional de Feminismos y Mujeres Populares tenutosi in Ecuador nel giugno 2013, le donne hanno proposto un altro modo di fare economia. Un'economia basata sulla gesione dei beni comuni che garantisce la riproduzione quotidiana della vita. Così come assicura la ricercatrice e sociolaga argentina Maristella Svampa, la presenza delle donne nella lotta socio-ambientale ha dato impulso ad un nuovo tipo di linguaggio che valorizza i territori, basato sull'economia dell' “avere cura”. Da queste lotte, per tanto, emerge un nuovo paradigma, una nuova logica, una nuova razionalità.
L'estrattivismo e la riconfigurazione del patriarcato
La presenza di uomini che vengono da fuori, per le strade, che bevono alcolici e importunano le donne, fa si che queste non si sentano libere di uscire a prendersi un caffè perchè vengono trattate come prostitute”, dicono le donne di Cajamarca, una delle regioni più colpite dall'attività estrattivista mineraria in Perù.
In un contesto di accentuata maschilizzazione dello spazio, l'estrattivismo riarticola le relazioni di genere e rafforza gli stereotipi del maschilismo egemonico. Nelle zone in cui si stabiliscono le industrie estrattiviste si consolida l'immaginario binario basato sulla figura dell'uomo che provvede e qui l'essere maschio è associato alla dominazione. In questa nuova categorizzazione degli schemi patriarcali, il polo femminile rimane relegato all'idea della donna dipendente, oggetto di controllo e abuso sessuale.
Alla fine, cosí come segnala uno studio pubblicato dalla Acsur – Las Segovias, le aspirazioni collettive alla base delle attività estrattiviste sono fortemente influenzate da modelli maschilisti, da immaginari mascolinizzati. In questo senso, le esperienze femministe permettono di visibilizzare l'estrattivismo come una tappa di riactualizzazione del patriarcato. La ricercatrice e attivista sociale messicana Raquel Gutiérrez sostiene che “l'estrattivismo e il patriarcato lavorano in simbiosi. Non sono la stessa cosa, però non possono esistere l'uno senza l'altro”.
Protagoniste della resistenza
Quando la compagnia Yanacocha ha acquisito il progetto minerario Conga nel 2001, non avrebbe mai immaginato che una donna avrebbe rappresentanto un rischio per le sue aspirazioni. Maxima Acuña ha affrontato con fermezza uno dei giganti minerari. Non vuole dare le sue terre che si trovano di fronte alla Laguna Azul della regione peruviana di Cajamarca, ad una compagnia che è stata denunciata varie volte per l'acqusizione irregolare di terreni privati. Dal 2001, Maxima e la sua famiglia hanno subito tentativi di sfollamento violento, da parte del personale della compagnia mineraria e della polizia di stato. Tra le minacce, le intimidazioni, le pressioni, Maxima resiste affrontando anche un processo pieno di irregolarità al quale la compagnia ha dato inizio accusandola di usurpazione di terre.
Nel giugno del 2008 Gregoria Crisanta Pérez e altre sette donne della comunità di Agel, a San Miguel Ixahauacán, Guatemala, hanno sabotato i condotti elettrici iterrompendo il rifornimento della compagnia mineraria Montana Exploradora, sussidiaria della canadese Goldcorp Inc. Per quattro anni su di lei è pesato un ordine di cattura per sabotaggio del funzionamento della miniera. Infine, nel maggio 2012, le accuse penali sono cadute e le donne hanno potuto recuperare parte delle terre di Gregoria, che la impresa usava irregolarmente.
Le donne del popolo Sarayaku, nell'Amazzonia ecuatoriana, sono state il fronte della resistenza contro la compagnia petrolifera Compañía General de Combustibles (CGC), riuscendo a cacciarla nel 2004. Lo stato ecuatoriano aveva dato in concessione il 60% del suo territorio alla compagnia, senza procedere ad alcuna consulta previa o informazione. Furono le donne che, dall'inizio, presero l'iniziativa. Quando l'esercito fece incursione nel loro territorio militarizzando la zona per favorire la compagnia petrolifera, le donne requisirono le loro armi. L'esercito volle negoziare la restituzione delle armi in modo segreto. Il popolo Sarayaku, spinto dalle donne, convocò allora tutta la stampa ecuatoriana per portare il caso alla luce. Nel 2012, dopo una decade di dibattiti giudiziari, la Commissione Inetranericana dei Diritti Umani ha riconosciuto la responsabilità dello stato ecuatoriano nella violazione dei diritti del popolo Sarayaku.
Questo e altri casi illustrano il panorama anti-estrattivista latinoamericano nel quale le donne si distinguono come protagoniste della resistenza, incorporando nuovi meccanismi di lotta e rivendicando il proprio spazio. Nel loro comunicato, le donne amazzoniche che nell'ottobre del 2013 camminarono per oltre 200 km contro la XI Gara d'Appalto petrolifera in Ecuador, hanno proclamato: “Difendiamo il diritto delle donne di difendere la vita, i nostri territori e di esprimerci attraverso la nostra propria voce”.
Tratto da: La Marea http://www.lamarea.com/2014/02/17/ecuador-extractivismo-mujeres/
Autrice: Miriam Gartor