Papua: Aumenta la deforestazione per l'olio di palma e la produzione carta

Tre indigeni papuani difendono la loro foresta con uno scudo Gli indigeni papuani difendono la loro foresta dalle aziende produttrici di olio di palma e carta (© Agus Kalalu) Deforestazione a Sorong, Papua occidentale, ad opera della società IKSJ. Taglio di alberi a Sorong, Papua Occidentale. (© Pusaka)

18 set 2022

L'analisi dei nuovi dati satellitari mostra che le foreste pluviali di Papua vengono disboscate come sempre. Le aziende produttrici di olio di palma e di carta sono le principali responsabili.

Le immagini satellitari mostrano che a Papua, nella prima metà del 2022, sono stati deforestati più di 1.150 ettari di territorio, principalmente per la produzione di olio di palma e carta, a Sorong, Jayapura e Merauke. Questo nonostante l'azione delle autorità contro le imprese irregolari e la decisa resistenza della popolazione 

Papua è il territorio della parte occidentale della Nuova Guinea, la seconda isola più grande del pianeta, che appartiene all'Indonesia. La parte orientale, Papua Nuova Guinea, è uno Stato sovrano. Papua ospita circa 3,5 milioni di persone, di cui più di due milioni sono immigrati attratti dalle sue abbondanti risorse.

Papua ha estese foreste pluviali. Gli indigeni papuani hanno protetto le foreste in modo tradizionale per migliaia di anni, per questo qui si trovano le ultime foreste pluviali veramente ricche di specie e biodiversità della regione asiatica del Pacifico.

Ma la domanda globale di legname, olio di palma, oro e altre risorse rappresenta una grave minaccia per le foreste pluviali di Papua e, di conseguenza, per il sostentamento delle popolazioni indigene. I programmi governativi per lo "sviluppo" di Papua, oltra all'avidità di profitto ed i contingenti militari, fanno di Papua un hotspot della distruzione ambientale e della violazione dei diritti umani.

Secondo la nostra organizzazione partner Pusaka, le aziende produttrici di olio di palma e di carta sono responsabili dell'attuale deforestazione. Per esempio, a Sorong, un'azienda ha tagliato illegalmente una foresta appartenente al clan tribale Mugu, senza consultare la comunità locale. "Non lo abbiamo mai dato il permesso. L'azienda deve essere sanzionata", ha dichiarato Efron Mugu, membro del clan.

Un caso simile si è verificato nel villaggio di Masmili. Nel dicembre 2021, l'azienda Inti Kebun Sejahtera ha iniziato a tagliare la foresta, e le popolazioni indigene colpite si sono insediate nell'area deforestata in bivacchi temporanei per fermare le operazioni di taglio, ci ha riferito l’organizzazione Pusaka. L'azienda ha poi promesso di assumersi la responsabilità per la copertura forestale perduta. Ciononostante, le palme da olio continuano a essere piantate.

La maggior parte delle comunità non conosce né i piani né i permessi ufficiali concessi alle imprese. Il clan Klafiyu, invece, è riuscito ad ottenere informazioni sulle nuove piantagioni progettate nella loro foresta. Da qui sono riusciti a scoprire che il governo ottiene l’equivalente di 16 euro per ogni ettaro di foresta pluviale utilizzato dalle imprese.

Le aziende guadagnano una fortuna solo con il legno che ottengono dal taglio forestale per fare spazio alle piantagioni. Per un metro cubo di legno merbau, un indigeno papuano riceve 11 euro. Il suo valore è di 60-70 euro a livello locale, raggiunge quasi 500 euro dopo la lavorazione in Cina e va oltre oltre i 2.000 euro sui mercati europei. Va tenuto presente che, secondo i dati ufficiali, da Papua si esporta molto meno merbau di quanto se ne commercializzi sui mercati mondiali.

Il nostro partner Pusaka, in stretta collaborazione con le comunità indigene, altre organizzazioni e le autorità locali, ha ottenuto il controllo di numerose aziende produttrici di olio di palma, carta e miniere. Con successo, nel gennaio 2022 il Ministero dell'Ambiente e delle Foreste ha ritirato 192 permessi, 51 dei quali a Papua.

In precedenza, anche il Presidente indonesiano Joko Widodo ha dato il suo consenso alla revoca dei permessi non regolamentati per sua stessa ammissione "correggere le disuguaglianze, le ingiustizie e i danni alla natura". Eppure, le aziende continuano ad operare. Il profitto è allettante e né la sostenibilità né i diritti delle popolazioni indigene sono di loro interesse.

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