COP26: 105 paesi si accordano per porre fine alla deforestazione entro il 2030. La grande assente è l’India

Una tigre vicino all'acqua © Istockphoto

3 nov 2021

Durante la COP26 105 paesi hanno siglato un accordo per porre fine alla deforestazione e alla degradazione del suolo entro il 2030. Anche Brasile, Cina, Indonesia, Messico, Russia, USA e l’Unione Europea si sono impegnati, e vedremo cosa faranno. Nella lista dei 105 manca però l’India, uno dei 17 paesi "megadiversi" che ospita l'8% della flora e della fauna mondiali conosciute dalla scienza.

Tra lunedì 1° e 2 novembre 2021, durante la COP26 di Glasgow, i governi di 105 paesi hanno siglato un accordo per porre fine alla deforestazione e alla degradazione del suolo entro il 2030.

Possiamo credere che questo impegno porti ad un risultato concreto, oppure questa meta necessaria subirà il destino nefasto e inglorioso della dichiarazione di New York del 2014?. In quella sede, infatti, più di 200 paesi, aziende e gruppi ecologisti, hanno cercato di tagliare almeno la metà delle perdite forestali naturali entro il 2020, per poi arrivare a porre fine alla deforestazione entro il 2030. Non solo non ci sono riusciti, ma dal 2010 al 2020, soprattutto nel sud -est asiatico, porzioni di foreste intatte delle dimensioni della Spagna si sono perse, per sempre e nel solo 2020, a livello globale, abbiamo perso un’area di foresta tropicale pari alla superficie dell’Olanda. Al momento, però, non possiamo fare altro che aspettare e monitorare attivamente quali passi concreti faranno i 105 paesi che si sono impegnati a raggiungere questo necessario obiettivo.

Alla dichiarazione hanno aderito anche Brasile, Cina, Indonesia, Messico, la Repubblica Democratica del Congo, Russia, Stati Uniti e l’Unione Europea che hanno maggiormente contribuito alla deforestazione indiscriminata. Nella lista ci sono paesi che hanno sacrificato il loro patrimonio forestale inestimabile e l’habitat di specie animali e vegetali e di persone indigene per investire in piantagioni industriali per i biocombustibili e l’allevamento intensivo.

Purtroppo, però, in questo elenco c’è un grande assente: l’India. E questo è preoccupante. L’India presenta una gamma diversificata di foreste - foreste tropicali umide e secche, foreste di montagna temperate e subtropicali, foreste alpine e foreste a macchia. È uno dei 17 paesi "megadiversi" per l’alto indice di biodiversità e specie endemiche (secondo la classificazione del World Conservation Monitoring Centre – WCMC – che annovera anche Australia, Brasile, Cina, Colombia, Ecuador, Stati Uniti, Filippine, Indonesia, Madagascar, Malesia, Messico, Papua Nuova Guinea, Perù, Repubblica Democratica del Congo, Sud Africa e Venezuela) e ospita l'8% della flora e della fauna mondiali conosciutedalla scienza. Le foreste dell’India sono la dimora di specie endemiche uniche in via di estinzione come il leone asiatico, la tigre del Bengala e il leopardo delle nevi. Inoltre, le foreste indiane rappresentano il sostentamento per quasi 275 milioni di persone, che dipendono dalle foreste per il cibo, la legna da ardere, il foraggio e altro.

Però questo patrimonio inestimabile è sempre più in pericolo, per questo nonostante i limiti, la mancanza dell’India nella sottoscrizione dell’impegno a eliminare la deforestazione per il 2030 è preoccupante. Qui riportiamo alcune cifre del problema. Dal 2002 al 2020, l'India ha perso 349 mila ha di foresta primaria umida – come l’estensione delle province di Pavia e Lodi messe assieme. Questa cifra corrisponde al 19% della perdita totale di copertura arborea. Nello stesso periodo, il paese ha perso 63 mila ha di foresta primaria umida in aree di cruciale importanza per la biodiversità, che costituiscono il 3,4% della sua perdita totale di copertura di alberi.  

Le deforestazione in India, secondo uno studio pubblicato nel 2019, è fomentata da vari fattori. Uno dei principali è il continuo taglio lecito e illecito di alberi che ha avuto un impatto importante sulle condizioni microclimatiche, il ciclo idrologico, la qualità del suolo, la biodiversità, rendendo così l’India più vulnerabile a qualsiasi evento climatico imprevisto. Altri fattori sono la rapida industrializzazione, l'urbanizzazione e l'eccessivo sfruttamento del suolo che hanno portato non solo al declino e alla perdita permanente delle foreste ad un tasso allarmante.

Però, lo studio sottolinea anche che il motore principale dietro tutti questi fattori è la crescita incontrollata della popolazione umana che porta al drammatico aumento della domanda di legno e prodotti forestali per soddisfare le esigenze degli esseri umani, e in maggioranza per lo sfruttamento occasionale della foresta per ottenere legname da usare per uso personale o per la vendita illegale, la raccolta di legna da ardere, per il pascolo e altro. Per esempio, nello stato di Arunachal Pradesh (all’estremo nord -est del paese) che ha più del 75% di copertura forestale e vanta la densità massimo di copertura forestale del paese, la deforestazione e degradazione del suolo sono imputabili soprattutto al taglio occasionale (63,56%), al taglio per ottenere tronchi per uso personale o commercio illegale (58, 47%), per fare spazio al pascolo (54,8%) e la raccolta di legna da ardere (53,11%).

Potrebbe essere che l’India oltre ad aver preso una posizione neutrale sul clima fino al 2070, non creda in questo impegno mondiale, visti i precedenti, ma sicuramente ha un problema importante da risolvere: la deforestazione è un pericolo per il benessere e la sicurezza climatica del paese e fermarla è l’unica protezione possibile.